Di Livio Di Salvatore
L’aperitivo è tipico della cultura italiana: deriva dal latino “aperire”, ovvero aprire, perché rappresenta un rito in cui si sta in compagnia, spizzicando qualche snack per aprire lo stomaco e prepararlo al pasto successivo. Questo avviene sorseggiando talvolta un calice di vino, talvolta un cocktail. A volte, però, questi due mondi si incontrano: sono numerosi i cocktail a base di vino già esistenti, e diventano sempre più numerosi ogni anno, grazie ai mixologist di tutto il mondo che danno libero sfogo alla propria creatività.
I più puristi tra gli appassionati di vino storcono il naso al pensiero di miscelare la loro bevanda preferita con altri “oggetti estranei”: per loro il vino va bevuto in purezza, senza aggiungere nulla che possa andare a modificare le sue caratteristiche organolettiche. Per questi wine lovers più ortodossi, ogni aggiunta di ingredienti al calice di vino rischia di coprirne i sapori e “svilire” così le sue caratteristiche. Nonostante lo scetticismo e la disapprovazione di una parte degli amanti di vino, i cocktail a base di vino sono sempre più apprezzati negli ultimi anni. Fece scalpore quando a Vinitaly, nel 2012, l’azienda Masi, tra i leader della Valpolicella, presentò il suo “Reciojito”, ovvero un Mojito a base di Recioto, il tipico vino dolce veneto.
Negli anni seguenti si sono moltiplicati i tentativi dei barman di mezzo mondo di ringiovanire e innovare il mondo del vino miscelandolo ad altri ingredienti, tra sperimentazione, provocazione e omaggio al proprio territorio. Ad esempio il Tuscan Sour del barman Alessandro Pitanti, una variante del New York Sour composta da Vodka made in Tuscany, succo di limone, zucchero, albume e vino Sangiovese.
Ma i cocktail a base di vino non sono solo una novità degli ultimi anni, bensì ce ne sono di famosissimi e apprezzati da tutti gli appassionati. Dalla Sangria e l’Agua de Valencia spagnole, fino al Kir francese, per arrivare al Mimosa e allo Champagne Cocktail molto amati negli Stati Uniti.
Ma anche l’Italia non è assolutamente da meno, e propone una vasta gamma di miscelati a base di vino, talvolta anche con una antichissima storia. Il primo ad essere citato non può che essere lui, la nuova star dei cocktail bar di tutto il mondo: lo Spritz! Un’alchimia semplice ma irresistibile tra Prosecco, bitter, soda e una fetta di arancia, lo Spritz nasce nella meravigliosa cornice di Venezia, dove nel 1800, sotto la dominazione degli Asburgo, amavano miscelare il vino bianco locale con uno spruzzo (appunto dal tedesco “spritzen”) d’acqua per alleggerirlo: a differenza dei veneti, gli austriaci non erano abituati al tenore alcolico del vino. Col tempo il drink divenne popolare anche tra gli abitanti della città, che però lo personalizzarono con un tocco unico: gli orgogliosi veneziani con l’aggiunta del bitter colorarono il cocktail di rosso, colore della Repubblica di Venezia, come provocazione rivolta agli occupanti austriaci, il cui colore era il blu.
Sempre a Venezia sono stati inventati nella prima metà del XX secolo dal leggendario Giuseppe Cipriani altri cocktail classici della tradizione: si tratta del Bellini e le sue varianti, il Rossini, Puccini e Tintoretto. Il geniale barman dell’Harry’s Bar creò una semplice miscela di Prosecco e purea di pesche fresche, e lo chiamò così perché quel colore rosato gli ricordava la toga di un santo in un dipinto del XV secolo del pittore veneziano Bellini. Allo stesso modo, il succo di fragole, mandarini e melograno ispirò il creatore a dedicare i cocktail rispettivamente agli artisti Rossini, Puccini e Tintoretto.
Ma non solo Venezia: anche Milano è patria di cocktail che ospitano vino tra i propri ingredienti. È il caso del Negroni Sbagliato, ideato da Mirko Stocchetto nel 1972 al Bar Basso di Milano. Il bartender milanese sostituì il gin del classico cocktail Negroni con uno spumante brut, per creare un cocktail più leggero dell’originale.
La miscelazione del vino è accusata di coprirne le caratteristiche, tuttavia non mancano pareri contrari, che sostengono invece che nel cocktail vengano valorizzati aspetti differenti e a tratti dimenticati di questa bevanda. Ad esempio, il celebre critico enologico Andrea Grignaffini su Repubblica dichiara che “il vino acquisisce una dimensione di ingrediente e si riappropria di quella funzione dissetante che aveva un tempo, per esempio nelle campagne, quando i manovali e i contadini usavano i cosiddetti mezzi vini, ossia vini molto leggeri, spesso Lambruschi, allungandoli con acqua fredda o molto ghiaccio e a volte gocce di limone. Per me non sono un imbarbarimento della cultura del vino ma casomai un ricordo delle radici”. Anche il Campari Barman dell’Anno 2017 Alessandro Pitanti guarda alle radici e alla storia del vino, ricordando i “vini Ippocratici, quelli che venivano chiamati dai romani vini conciati. Venivano appunto trattati con erbe (ecco allora la famiglia dei chinati e dei vermouth) con la doppia funzione di renderli più gradevoli e anche meglio conservabili.” In questi modi il vino si riappropriava di una veste di bevanda rurale, oppure compensava la scarsa qualità dovuta alla mancanza delle odierne tecnologie enologiche.
I wine cocktail sono una parte importante del lifestyle italiano. Nell’immaginario comune l’italiano si rilassa e si gode la vita sorseggiando uno Spritz davanti ai panorami mozzafiato del nostro paese. Chissà in quanti altri magnifici modi il vino saprà innovarsi e stupirci con nuove combinazioni!