Il presidente di Assoenologi: ” “Naturale” è un aggettivo importante: significa che la natura fa il suo corso e non c’è l’intervento umano. Dove si manifesta l’intervento dell’uomo non si può più parlare di naturale”.
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Presidente in Italia la vendemmia sta andando in conclusione. Cosa dobbiamo aspettarci da questo 2020? Cosa troveremo in bottiglia?
Si tratta di una vendemmia dalla normalità quantitativa, mentre per la qualità è una buonissima annata, con punte di ottimo e di eccezionale. E’ sempre azzardato fare una previsione generale sul Paese perché è il clima a fare da padrone e noi abbiamo sempre più un clima tropicale rispetto al clima continentale di anni fa. A breve distanza possiamo avere terreni che soffrono di siccità e altri allagati da acquazzoni estivi, quindi è difficile dare un giudizio generale. Ma abbiamo delle punte di grande eccezionalità. In tutta Italia avremo questa grande qualità che deriva dal 2020. Se non altro, nell’annata nera del 2020 per tutte le cose che stanno succedendo, avremo una buona qualità dei vini. Non consola molto ma ci fa sperare la grande positività di questa annata.
Compensa un po’ la minore invece quantità che si prospetta per questa annata per quanto riguarda la produzione?
Non tutti i mali vengono per nuocere. La minore quantità aiuterà a tenere un po’ sostenuto il mercato. Benché abbiamo perso un po’ quello che è il palcoscenico principale del vino vale a dire ristoranti, enoteche e tutto il reparto Horeca, abbiamo recuperato con la vendita online e con la grande distribuzione. Ovviamente siamo preoccupati, le nostre aziende stanno soffrendo, ma siamo anche convinti che al momento della rinascita il vino sarà il primo elemento che accompagnerà lo star bene e la convivialità.
In effetti in questi mesi le persone hanno riscoperto il supporto positivo che il vino riesce a dare anche a distanza. C’è in atto anche un cambiamento riguardo il consumo degli italiani del prodotto vino nel loro quotidiano?
Il vino è sempre stato un compagno ideale per il genere umano. E man mano che la qualità si è incrementata siamo andati sempre più verso la cultura del vino, verso la voglia di conoscerlo meglio: dove nasce, con quali vitigni, la proprietà, l’enologo, la stagione… non c’è un prodotto in natura che può essere influenzato dalla stagione come il vino e questa è la sua grande dote. Noi enologi possiamo fare tanto ma poi c’è sempre un elemento che ci condiziona e che dà DNA al vino ed è l’elemento stagionale. Però è stato sempre un compagno dell’uomo e delle donne, ora la pandemia ci ha lasciati un segnale importante: abbiamo rianalizzato l’aspetto edonistico e non esteriore del vino. Mi riferisco a bottiglie pesantissime, a etichette create da pittori famosi, a cantine progettate da grandi architetti. Si andrà più all’essenziale e questo credo sia un comportamento che non riguarderà soltanto il vino, ma influenzerà tutta la nostra vita: guardare all’essenziale, alle cose veramente importanti. Questa sarà una positiva eredità che ci lascerà questo virus. Abbiamo trovato nel vino un compagno di viaggio: accostarsi ad un bicchiere di vino nel modo giusto (con moderazione, intelligenza e sapienza) contribuisce sicuramente a rilassarci, a dimenticare il problema. Pensare al vino, alle sue caratteristiche, alle sue origini, alle mani dei produttori, dei contadini che hanno allevato il vigneto, all’opera di noi enologi che facciamo con tanta passione e tanto amore è stato un momento di relax e sarà sempre più così.
Tante cantine italiane hanno scelto la sua guida, è difficile interpretare tanti territori così diversi?
Bisogna sfatare un tabù: noi enologi non possiamo interpretare un territorio, è l’uva che ha questo potere. Noi al massimo possiamo fare in modo che i territori si esprimano nel miglior modo possibile non solo in termini quantitativi ma anche in termini qualitativi. Non possiamo omologare Montalcino e Chianti, anche se sono entrambi in Toscana. L’habitat (terreno e clima) è talmente forte che non può e non deve essere influenzato nella sua espressione organolettica. Noi enologi abbiamo il compito di far sì che il territorio sia la massima espressione del vino. In Italia, a differenza della Francia, teniamo a dare importanza all’uva, ma chiamare un vino con il nome della sua uva è sbagliato! Dobbiamo chiamare il vino con il nome del suo territorio, poi il nome dell’uva. Chiamare un vino “sangiovese” senza dire dov’è fatto, in che anno, allora diventa veramente una domanda senza nome, senza faccia, senza personalità.
L’enorme biodiversità vitivinicola italiana è un punto di forza o di debolezza quando si approcciano mercati esteri?
Nessuno sa con precisione quanti vitigni autoctoni abbiamo e quanti ancora ne dobbiamo scoprire, per non parlare dei territori. Ad esempio io lavoro a Bordeaux, è un posto che amo, ma essendo vicino al mare è un territorio piuttosto piatto. Montalcino invece è a forma di cono: quindi quanta altitudine e quanta esposizione abbiamo? La verità è che l’Italia è fuori concorso. Il problema atavico è che noi non sappiamo comunicare le nostre ricchezze. Se sapessimo minimamente valorizzare il nostro territorio non ce ne sarebbe per nessuno, comunque piano piano siamo più lentamente ma ci stiamo avvicinando alla consapevolezza.
Agricoltura biologica, biodinamica, sostenibilità. Come sta cambiando la filosofia delle cantine?
E’ una medaglia dal doppio volto. Abbiamo il dovere che la sostenibilità sia all’inizio dei nostri pensieri. Ben vengano alternative alla tradizionale cultura come il sistema biologico o biodinamico. Ma il rovescio della medaglia è che spesso viene strumentalizzato per vedere più vino. Finalmente però la Cee si è espressa dicendo che non si può utilizzare la dicitura “naturale” perché il consumatore tende e pensarlo più pregiato e quindi a pagarlo di più. “Naturale” è un aggettivo importante: significa che la natura fa il suo corso e non c’è l’intervento umano. Dove si manifesta l’intervento dell’uomo non si può più parlare di naturale. E il prodotto naturale dell’uva è l’aceto. Laddove non è aceto c’è l’intervento dell’uomo. Abbiamo il dovere di perseguire tutto ciò che è biologico nel rispetto della natura e degli uomini, perché il vino fa parte del patrimonio che la natura ci ha dato, ma non deve essere usato in maniera poco trasparente per trarre in inganno il consumatore. Altrimenti facciamo perdere all’agricoltura biologica e biodinamica il loro vero significato.
Il cambiamento climatico: come preservare vigneti e produzioni?
Sembra assurdo ma molti vitigni italiani, specialmente gli storici come il Montepulciano d’Abruzzo, il Sangiovese, il Nebbiolo o il Negroamaro sono a maturazione tardiva. 30anni fa si raccoglievano le uve a fine ottobre, primi di novembre e spesso si raccoglieva per evitare la formazione di muffa dovuta alla maturazione lenta perché con l’inizio di settembre le temperature scendevano e non si raggiungeva quel top di maturazione che ora raggiungiamo anticipando la vendemmia anche di un mese. Assistiamo a vini diversi, più concentrati ed espressivi del loro territorio. Un sangiovese rispetto a 30anni fa magari di collina oggi fa vini incredibili, una volta erano più sottili perchè figli di quel tempo. Le varietà che hanno risentito in maniera negativa sono gli internazionali che maturano troppo presto.
Rivalutare la pergola abruzzese o spostare i vigneti in altura sono accorgimenti che hanno un senso o no?
Certo che si, il tendone se ben condotto ombreggia i grappoli rispetto ad una spalliera così come andare su terreni più alti. Dobbiamo approcciarci al vigneto pensando al cambiamento climatico e quindi la gestione del verde, la lavorazione del suolo, la densità per ettaro per riuscire a contenere molto gli effetti negativi di un clima estremo quindi diventa sempre più un approccio scientifico.
Anche in Cina sta crescendo la cultura e la conoscenza del vino, anche di quello italiano…
Noi enologi abbiamo e avremo un debito con tutti coloro che fanno cultura del vino. A volte il racconto del vino è fatto da persone che non hanno cognizione di cos’è veramente il vino con la sua cultura. Oggi c’è sete di cultura da parte dei consumatori, ma la degustazione è l’atto finale di un percorso che inizia prima. Quando ci si accosta a un vino noi dobbiamo conoscere tutto di quel vino, perchè se sappiamo tutto noi possiamo percepire meglio i nostri sensi. Se noi sappiamo che in quell’annata, in quel territorio, in quella cantina, in quella vigna c’è stato un clima siccitoso, ci approcciamo con qualcosa che ci fa capire quel vino probabilmente avrà un po’ sofferto o un po’ beneficiato di quel clima. L’unione e la simbiosi tra uomo e vino è un qualcosa che nessun altro prodotto della natura può esprimere. Non ci dimentichiamo che la sete di cultura viene da Paesi che si sono approcciati al vino in tempi abbastanza recenti, ho amici cinesi che mi fanno tantissime domande ed è impressionante come questo popolo si stia avvicinando al vino. Ci sono enotecnici bravissimi, molti vengono a studiare in Italia e vogliono esprimere la loro terra. La Cina è un mercato importantissimo per il vino italiano, ma c’è anche soddisfazione a parlare con loro perché si sente l’amore per il vino.
Grazie Presidente Xiè Xiè
Grazie a voi di da parte di 5000 enologi italiani per quello che fate per il vino italiano.