Le narrazioni mitologiche della civiltà legata all’antica Roma sono tantissime, e tra queste non poteva mancare quella legata alla nascita di uno dei simboli più importanti della nostra cultura: il vino, rappresentato dal dio Bacco.
Già all’atto del concepimento, Bacco portava con sé gli elementi umani più veri e terreni: la vita, la morte, la passione, la gelosia, l’amore.
Figlio di Giove e della mortale Semele, amante di Giove, rischiò la vita già nel grembo materno, quando una gelosissima Giunone, moglie tradita di Giove, provocò con un espediente la morte della madre. Giove riuscì a salvare il feto e se lo fece cucire nella coscia, dove potè completare la gestazione. Una nascita avventurosa e certamente sui generis, che gli fece guadagnare il titolo di protettore della vita embrionale.
Ma era solo l’inizio. Bacco, costretto a vivere lontano da casa per sottrarsi alle ire della matrigna, peregrinò per molti luoghi e in uno dei suoi viaggi, un giorno d’estate, restò folgorato dalla bellezza dei tralci di vite che crescevano intorno alla grotta sotto cui si riparava.
Un po’ per gioco, un po’ per curiosità cominciò a piluccarne i grappoli e a berne voracemente il succo, che spremeva in una coppa d’oro.
All’improvviso il miracolo: il suo corpo stanco si sentì immediatamente rinvigorito e il suo animo fu pervaso da un’istantanea allegria e da un energico slancio vitale!
Tutto sembrava più vero, forte, vivido, anche i pensieri!
Pensò che un simile prodigio doveva essere condiviso, e decise di iniziare a coltivare la vite per farne dono agli uomini. Era nato il vino!
Sarà per questo che il vino è la bevanda che più di tutte racchiude in sé il senso del dono e della convivialità : è considerato un regalo degli dei, una specie di fluido magico che ha “il potere di riempire l’anima di verità” (Rabelais). Eh sì, perché, a ben pensarci, il vero dono offerto dal nettare degli dei è proprio quello di restituire all’uomo, nel bene e nel male, quel che è davvero, spogliandolo delle sue menzogne.
Fino a un certo punto, esso eleva lo spirito, acuisce le doti intellettuali e rinforza l’amicizia e la conversazione: è, in una parola, una bevanda sacra che infonde al singolo l’armonia dell’universo, regalandogli il piacere inebriante di tendere al suo meglio grazie anche all’ abbandono delle sue fortezze difensive.
Ma, superata una certa misura, il vino limita le capacità umane, annebbia mente e cuore, spoglia l’uomo della ragione per farne fiera, istinto animale e incontrollato che offusca le intenzioni, mescola i sensi, rende ciechi e ottusi come asini, spingendolo dentro le viscere della passione più selvaggia. L’astrazione più profonda e la bestialità più cieca si fondono dunque dentro lo stesso calice, sono parte di uno stesso tutto. Sta solo all’uomo fare in modo che sia l’una a prevalere sull’altra, esattamente come nella vita, dove questi due elementi sono costantemente in lotta tra di loro, sorretti dall’equilibrio instabile delle norme sociali. Null’altro potrebbe spiegare in modo così evidente l’ambiguità della condizione umana, eternamente sospesa tra la ricerca e la perdizione di sè, come un sontuoso calice ricolmo di vino.
Sarà per questo che a bere vino non ci si pente mai davvero. Perché è sempre come scoprire un po’ di più di se stessi, alzando, nel bene e nel male, la soglia dei propri limiti.
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