Si chiamano Pilzwiderstandfähig, ma per tutti più semplicemente viti Piwi e sono le uve naturalmente resistenti ai funghi.
Originarie del Nord Europa a fine ‘800, specie dalla Germania, sono il frutto di un incrocio tra vitigni, mixati appositamente per resistere alle malattie fungine più temute dai viticoltori, oidio e peronospora, ma hanno anche una ridotta sensibilità a botrite e marciume acido. In sostanza si tratta di un incrocio tra viti appartenenti alle vitis vinifera e le piante resistenti, di origine americana oppure asiatica. Per lunghi anni la diffusione delle viti Piwi è stata limitata perché i vini prodotti da queste uve non reggevano la concorrenza dei vitigni tradizionali, ma con il passare del tempo si sono diffusi sempre di più in Germania, Austria, Svizzera, e anche nel Nord Italia.
A contribuire a promuovere la cultura attorno a questi vitigni dai “superpoteri” è l’associazione Piwi International.
Gruppo di lavoro internazionale per la diffusione dei vitigni resistenti ai funghi, fondato in Svizzera nel 1999, con l’obiettivo di scambiare conoscenze scientifiche e pratiche nel settore e supportare e incoraggiare i professionisti che lavorano con queste varietà.
Piwi International
“Mi ha sempre affascinato nella viticoltura la potenzialità della rigenerazione – spiega Alexander Morandell, produttore in Alto Adige e presidente di Piwi International -. Già dalla fine degli anni ’80 ho potuto lavorare con varietà di seconda e terza generazione, inizialmente uva da tavola, ucraina e russa. Nel 1999 è nato il movimento Piwi, anche grazie a dei nuovi incroci che davano per la prima volta vini di qualità, genuini, sensorialmente più vicini alle abitudini dei consumatori. E così abbiamo fatto i primi sovrainnesti, ho sperimentato più di 200 varietà e alla fine ci siamo concentrati sulle 10 più interessanti”.
Se i primi incroci sono volti esclusivamente a tirare fuori le viti più resistenti, il lavoro di questi produttori si concentra giorno dopo giorno, sempre di più a migliorare le qualità sensoriali dell’uva.
“Parliamo di una genetica nuova – continua – di nuovi incroci fatti volutamente dall’uomo che guarda e individua le migliori caratteristiche di “madre” e “padre”, per poi accoppiare i partner. Oltre alla resistenza ai funghi e al freddo, abbiamo la possibilità di selezionare l’espressione della varietà. Ecco quindi che se cerco l’aromaticità dovrò scegliere quelle caratteristiche. Grazie a una genetica fresca e vivace, abbiamo una risposta migliore anche allo stress che deriva da cambiamenti climatici, che compromettono tante varietà tradizionali, mettendo in crisi il produttore”.
I vitigni Piwi sono sempre più apprezzati perché sostenibili a livello ambientale ed economici.
Poiché mentre la viticoltura classica ricorre a prodotti fungicidi proprio per proteggere le colture, le viti Piwi hanno meno bisogno di anticrittogamici, dal momento che sono naturalmente robuste.
“I trattamenti dipendono dall’annata, dalla posizione della vigna, dalla condizione e dalle circostanze climatiche, perché la viticoltura equilibrata è fondamentale – va avanti Morandell -. Nel caso dei Piwi, la varietà stessa tranquillizza il produttore. Se per esempio un vitigno tradizionale comincia ad avere segni di malattie, a volte è già tardi, invece nelle viti resistenti, si può attendere la reazione della pianta e individuare una soluzione solo in caso quelle condizioni peggiorino”.
Poi c’è l’aspetto economico, grazie al risparmio di agenti nebulizzanti, alla riduzione dei percorsi dei trattori nei vigneti e alla riduzione dei consumi energetici e dell’inquinamento del suolo.
In Italia si contano 21 varietà:
cabernet eidos, di colore rosso, un vitigno in grado di formare un buon accumulo di zucchero con acidità equilibrata; cabernet volors, rosso, il cui profilo aromatico ricorda il cabertnet Sauvignon da cui deriva; charvir, uva bianca, adatta alla produzione di spumanti; fleurtai, bianco che riporta con sè le note tipiche del tocai friulano; giulio, rosso, che ha una concentrazione superiore alla media di note floreali e fruttate; kersus, bianco che ricorda il vino Chardonnay con le note dei Pinot grigi; merlot cantus, rosso, adatto per vini affinati per un tempo medio-lungo; merlot khorus, rosso, dalla buona struttura e corpo; nermantis, rosso, dall’uva succosa; pinot iskra, bianco, molto simile al Pinot bianco; pinot kors, simile al vino Pinot nero; cretos di sauvignon, dal profilo aromatico corposo; sauvignon nepis, bianca, con un profilo aromatico complesso; sauvignon rytos, varietà bianca che produce vini con un intenso contorno aromatico; soreli adatto alla miscelazione con il fleurtai; termantis, uva rossa dagli acini succosi; ud. 30-080 da incrocio con sauvignon blanc; ud. 31-103 rosso da incrocio con merlot; ud. 72-096 rosso; valnosia a bacca bianca adatto alla produzione di vini freschi e aromatici; volturnis, rosso, simile alla varietà Pinot nero.
Al momento in Italia il grosso dei vigneti Piwi è concentrato al nord, dove “abbiamo tante aziende biologiche – chiarisce il viticoltore – ma dove le gelate sono sentite maggiormente. Poiché si è visto che l’umidità può provocare danni nelle viti tradizionali, mentre le resistenti con zero o pochi trattamenti reggono molto di più e siccome si sta alzando il livello della viticoltura anche nell’Appennino, pure regioni come Lazio e Marche stanno piantando queste varietà”.